Il COVID-19 ci “costringe” a casa ma, questo verbo può anche essere inteso come CO- STRINGERE, cioè, stringersi insieme.
In questa seconda accezione ecco che la “prigionia” diventa occasione il cui significato è tutto rinchiuso in quel “co”. Condividere (Con-dividere) convivere (con-vivere) cooperare (co-operare) collaborare (co-(l)laborare) connettersi (co-(n)nettersi) con l’altro e con sé stessi, coesistere (co- esistere) ... tutto è legato al “con”.
E, per chi è solo, la con-nessione con la propria interiorità, può trasformarsi da “castigo” a “risorsa”.
La vita frenetica che ci siamo lasciati alle spalle, gli impegni quotidiani, la estrema velocità con cui eravamo costretti ad onorare tutti i nostri impegni, le pizzerie ed i locali pieni di “solitudini collettive” (ognuno seduto allo stesso tavolo con il telefonino in mano) certamente non erano condizioni ideali per avere un rapporto umano con gli altri e con sé stessi. Forse eravamo tutti ancora più soli di oggi perché in questo momento storico siamo tutti uniti da un’urgenza comune che ci offre l’occasione per riscoprirci.
Certo la perdita economica ci preoccupa ma la riconquista dei nostri spazi interiori ci deve confortare. Dobbiamo trasformare questa epidemia in una “pandemia di occasioni di riflessione e di introspezione”. Un momento per ri-trovarci e riorganizzare le nostre idee e i nostri progetti per il prossimo futuro per fare in modo che la ripresa delle nostre attività quotidiane possa avvenire in modo diverso, rinnovato e rimodulato sulla base della “reale” qualità della nostra vita che passa, inevitabilmente, attraverso una riorganizzazione delle nostre abitudini.
Certamente, questo, può sembrare, per molti, un concetto demagogico ma, proprio qui, occorre fare una scelta di campo netta e precisa. Siamo persone e le persone sono di per sé, quindi per natura, esseri sociali.
La presenza “fisica” degli altri ci manca molto ma possiamo ri-scoprirla, sin da subito, attraverso alcune considerazioni e nuove consapevolezze.
Da quanto tempo non trascorrevamo “ore di qualità” con i nostri figli e con le nostre famiglie, “da quanto tempo diciamo che non abbiamo tempo”.
Il virus non ha colpito solo il corpo delle persone ma anche la coscienza di ciascuno e, da pedagogisti, psicopedagogisti, psicologi, operatori del sociale, dobbiamo assolutamente aiutare la popolazione a coglier l’aspetto positivo che, seppur in questa immane tragedia, mi sembra si possa intravedere se cominciamo ad “amare” la nostra condizione scegliendola e non subendola.
Certo, questo presuppone un cambio di prospettiva, un diverso modo di vedere le cose e di interpretarle. Forse ci viene chiesta una rivoluzione interiore che, però, innegabilmente ci ricorda che lo scopo pedagogico e psicopedagogico della crescita individuale è quello di “attuare il cambiamento attraverso l’apprendimento”. Assimilazione, adattamento, accomodamento…. Ricordate?
Questa è un’occasione irripetibile, per quanto orrenda per le conseguenze che sta creando nell’animo delle persone (aumento delle crisi di panico, delle depressioni, dei malesseri, conflitti relazionali con i nostri figli, rispettare abitudini che sembrano ledere la nostra libertà personale) ma se cogliessimo l’altissimo valore degli atti d’amore che, proprio attraverso queste restrizioni, offriamo all’altro, anche a quelli che non conosciamo, tutto cambia senso e significato.
Io resto a casa = io ho cura di te, ti amo, mi preoccupo della tua salute, sto facendo qualcosa per l’altro e, visto che si parla di pandemia, sto facendo qualcosa per il mondo.
Ecco che mi viene in mente la “pedagogia dell’effettività”, l’educazione emotiva ed anche la “pedagogia dell’inclusione”, dal momento che, rivalutando i rapporti più stretti, “facciamo spazio all’altro dentro di noi”.
Non importa chi sia l’altro…… sappiamo che l’altro è persona che soffre come noi … ed anche qui possiamo riflettere sul concetto di sofferenza con l’inserimento di un piccolo apostrofo che cambia tutto il senso del dolore. Infatti, c’è chi “soffre” e chi “s’offre”: questa è la scelta! Le risorse sono dentro di noi e non occorre pensare che questo “offrirsi” sia possibile solo in discoteca o nei locali.
Possiamo telefonare, scrivere, pensare, consigliare, andare in farmacia per qualcuno che non può, chiedere “come stai” oppure consigliare…: “sii prudente”… a persone che, fino a ieri, davamo per scontate e che non avremmo mai chiamato.
Così con la scuola, finora delegata solo alle attività istituzionali, possiamo cogliere questa occasione per consigliare ai nostri utenti di affiancare i propri figli e, attraverso la nostra professione, possiamo aiutare anche i figli degli altri a svolgere i compiti a distanza o consigliare ad un genitore come registrarsi sul sito internet della propria scuola per accedere ai servizi on line. Possiamo aiutare (educazione degli adulti) a far comprendere questo diverso modo di intendere e di vivere questo periodo drammatico con occhi e cuore diverso.
Certamente non avrebbe dovuto essere un virus così violento a rammentarci questa occasione di con-divisione ma tant’è! Possiamo decidere se ammalarci, lasciando che il virus contagi anche le nostre coscienze, oppure difenderci e difendere almeno la nostra capacità relazionale, quella che ci insegna a trarre il meglio da ogni occasione (resilienza).
I nostri nonni, che si sono trovati in condizioni simili, se non peggiori, non più tardi del Secolo scorso, ci hanno insegnato che proprio dalla guerra e delle epidemie si è trovata la forza di ricostruire l’Italia, anche dal punto di vista economico e del benessere. Loro non possedevano la tecnologia che oggi, invece, abbiamo a disposizione, non esistevano farmaci, le abitazioni erano distrutte e tanti sono deceduti sotto le macerie. Ciò nonostante siamo rinati in un Paese nuovo, non solo nelle costruzioni post-belliche, ma proprio nella coscienza di una ritrovata unità nazionale, forte e solidale.
Il boom economico è nato lì, dal dolore.
Questo approccio alla pedagogia dell’emergenza, che come ANIPED Vi suggerisco, è proprio quella della rinascita, immediata. Facciamoci trovare “nuovi” quando il virus ci restituirà alla nostra vita quotidiana.
Un’altra considerazione: generalmente all’inizio di un episodio sgradevole o doloroso, la prima reazione psicologica auto conservativa è quella di proteggere sé stessi, mettersi “al sicuro”… sopravvivere….!!! Ecco, questa è una reazione naturale e fisiologica davanti al pericolo (tanta è la letteratura scientifica nel merito) ma gli psicologi, i pedagogisti e gli psichiatri più illuminati, ci insegnano a porre in essere strumenti alternativi per “elaborare” la paura, prima che essa diventi ansia, ossessione e addirittura depressione.
Le strategie ciascuno le fornisce in base alle proprie competenze professionali ma c’è una costante:
il passaggio dall’io al noi!
Abbiamo già considerato, in una precedente riflessione, come la relazione educativa che genera crescita interiore e, quindi, cambiamento, presupponga l’essere “due o più” uniti in uno stesso confronto. Nessuno può educare sé stesso se non all’interno di una reciprocità attiva con l’altro. Favorire questa relazione, intesa come un “corridoio empatico” all’interno del quale veicolare messaggi di con-divisione del dolore e di superamento dell’ansia, può essere uno strumento concreto di crescita personale e collettiva.
La paura non è una nemica: la paura esiste, in natura, come una risorsa che può salvarci la vita in situazioni di pericolo. Una paura fisiologica non va considerata una patologia, ma una reazione spontanea di evitamento del pericolo. La paura, quindi, non va eliminata, ma gestita e superata in quanto tale per diventare spinta ed energia propositiva e propedeutica al cambiamento di atteggiamento verso le stesse cause che la generano.
Ad esempio:
paura, dolore, pre-occupazione: possibili re-azioni:
chiudersi in sé stessi, attendere che tutto passi, evitare rapporti con gli altri,
assumere farmaci, chiedere aiuto,
fuga, evitamento fobico, ansia, preoccupazione,
silenzio, umore depresso.
condivisione dell’ansia creatività nella ricerca di soluzioni
apertura all’altro e ricerca di relazioni empatiche valorizzazione della propria resilienza
atteggiamento propositivo svolgere attività in favore di se stessi e degli altri
(organizzazione della giornata) immaginare la soluzione del problema cambiare prospettiva mentale
estroversione rendere utile l’attesa svolgere attività
e così via….
PER LE COPPIE
Nella mia professione ho conosciuto tante coppie, una delle quali palesava che i maggiori dissapori nascevano dal fatto che, uno dei due, avvertiva forte il bisogno di “evasione”. Il pensiero predominate era quello di “prendersi spazi propri”, personali, liberi da ogni condizionamento reciproco. Andare in discoteca, in palestra, allo stadio, non perdere una sagra di paese, curare costantemente la propria estetica fisica, provare tristezza e frustrazione quando non era possibile partecipare ad aventi collettivi di festa con amici in ogni luogo e giorno, desiderio di non invecchiare mai, voglia di mostrarsi all’altro nella migliore forma possibile, curare l’estetica, recarsi quotidianamente in negozi per fare shopping, etc. e, quando tutto questo, ed altro, non era possibile, proprio il rapporto di coppia ne risentiva fortemente.
Orbene, come noto, anche i più grandi psicologi del nostro secolo consigliano a ciascuno di trovare e vivere momenti dedicati esclusivamente a sé stessi e, ciò, con l’obbiettivo di alimentare la propria creatività, il proprio sapersi prendere cure del sé, la propria necessità di rialimentare la propria autostima, etc.
Ma quando tutto questo diventa patologico? Lo diventa quando, senza che il soggetto se ne accorga, quindi in buona fede, queste abitudini sane diventano necessità ossessivo- compulsive e, cioè, quando automaticamente scatta la “pulsione” di fare tutto ciò in modo incontrollabile (credendo, invece, che sia pienamente controllato).
La controprova è che, in caso di deprivazione o di impossibilità esterne di compiere questi gesti quotidiani, la tensione che si crea diventa un elemento “divisivo” del rapporto di coppia principale.
La libertà unisce e mai separa. La libertà, però, ha delle regole naturali. Esaminiamo qualche parere scientifico:
- La libertà di scelta (secondo Freud) è un’illusione. ... egli afferma che “tali scelte sono condizionate da una parte inconscia dentro l'Io, una componente della struttura della personalità di cui non abbiamo consapevolezza” .
- “La vera libertà è quella interiore. La nostra libertà non sta fuori di noi, ma in noi” (Krishnamurti e Jung)
- “Si può essere vincolati all’esterno e tuttavia sentirsi liberi, perché ci si è liberati dalle catene interiori”. (Jung)
- “Si può forse guadagnare la libertà esteriore mediante un’azione energica, ma la libertà interiore si crea solo mediante il simbolo.» (C.G. Jung – Libro Rosso, p.311)
- “c’è una grandezza che si può “indossare” come singoli ma diviene raggiungibile solo gettandone le fondamenta con un individuo che ci è prossimo, che si lega a noi da vicino”. (Jung)
- “Probabilmente una coscienza più o meno celata ci rende consapevoli di non poter essere a prescindere dall’altro, dal contesto, dal sistema”. (Jung)
Una lettura recente mi ha fatto venire in mente Cartesio riformulandone parzialmente l’enunciato famoso come segue:
“Vado a divertirmi e quindi sono contento e, quindi, = contineor ergo sum (Sono contenuto, dunque esisto) proponendo, in alternativa o in contemporanea, il communico ergo sum (Condivido, dunque esisto) e, per tutto questo, forse, il cogito dovrebbe essere alla base di tutto”.
Ed ancora (Jung):
- “Se possiede un granello di saggezza l’uomo deporrà le armi e chiamerà l’ignoto con il più ignoto, cioè con il nome di Dio. Sarà una confessione di imperfezione, di dipendenza, di sottomissione ma al tempo stesso una sua testimonianza della sua libertà di scelta tra la Verità e l’errore.»
- Dell’amore sono proprie la profondità e la fedeltà del sentimento, senza le quali non di amore si tratta, ma di puro capriccio. Il vero amore stringerà sempre legami duraturi e responsabili. Gli è necessaria la libertà solo per la scelta, ma non per la realizzazione”.
- “Ogni amore vero e profondo è un sacrificio. Si sacrificano le proprie possibilità, o meglio, l’illusione di avere delle possibilità”. Se esso non pretendesse questo sacrificio, le nostre illusioni impedirebbero l’espressione del sentimento profondo e responsabile, ma in tal modo però ci verrebbe anche sottratta la possibilità di fare esperienza del vero amore.
- L’amore esige un atteggiamento incondizionato, …l’amore svela i suoi segreti e prodigi più sublimi soltanto a chi è capace della dedizione e della fedeltà incondizionate del sentimento. Poiché questo atteggiamento è estremamente difficile, sono molto pochi i mortali che possono vantarsi di averlo attuato. Ma proprio perché l’amore più oblativo e più fedele è anche il più bello, non si dovrebbe mai andare in cerca di espedienti che potrebbero rendere l’amore troppo facile. È un cattivo cavaliere della sua dama del cuore colui che arretra intimorito dinanzi alle difficoltà dell’amore.
LA LETTERA DI ALBERT EINSTEIN ALLA FIGLIA LIESERL:
Quando proposi la teoria della relatività, pochissimi mi capirono, e anche quello che rivelerò a te ora, perché tu lo trasmetta all’umanità, si scontrerà con l’incomprensione e i pregiudizi del mondo.
Comunque ti chiedo che tu lo custodisca per tutto il tempo necessario, anni, decenni, fino a quando la società sarà progredita abbastanza per accettare quel che ti spiego qui di seguito. Vi è una forza estremamente potente per la quale la scienza finora non ha trovato una spiegazione formale. E’ una forza che comprende e gestisce tutte le altre, ed è anche dietro qualsiasi fenomeno che opera nell’universo e che non è stato ancora individuato da noi. Questa forza universale è l’amore. Quando gli scienziati erano alla ricerca di una teoria unificata dell’universo, dimenticarono la più invisibile e potente delle forze.
L’amore è luce, visto che illumina chi lo dà e chi lo riceve.
L’amore è gravità, perché fa in modo che alcune persone si sentano attratte da altre. L’amore è potenza, perché moltiplica il meglio che è in noi, e permette che l’umanità non si estingua nel suo cieco egoismo. L’amore svela e rivela. Per amore si vive e si muore. Questa forza spiega il tutto e dà un senso maiuscolo alla vita. Questa è la variabile che abbiamo ignorato per troppo tempo, forse perché l’amore ci fa paura, visto che è l’unica energia dell’universo che l’uomo non ha imparato a manovrare a suo piacimento. Per dare visibilità all’amore, ho fatto una semplice sostituzione nella mia più celebre equazione. Se invece di e = mc2 accettiamo che l’energia per guarire il mondo può essere ottenuta attraverso l’amore moltiplicato per la velocità della luce al quadrato, giungeremo alla conclusione che l’amore è la forza più potente che esista, perché non ha limiti. Dopo il fallimento dell’umanità nell’uso e il controllo delle altre forze dell’universo, che si sono rivolte contro di noi, è arrivato il momento di nutrirci di un altro tipo di energia. Se vogliamo che la nostra specie sopravviva, se vogliamo trovare un significato alla vita, se vogliamo salvare il
mondo e ogni essere senziente che lo abita, l’amore è l’unica e l’ultima risposta. Forse non siamo ancora pronti per fabbricare una bomba d’amore, un artefatto abbastanza potente da distruggere tutto l’odio, l’egoismo e l’avidità che affliggono il pianeta. Tuttavia, ogni individuo porta in sé un piccolo ma potente generatore d’amore la cui energia aspetta solo di essere rilasciata. Quando impareremo a dare e ricevere questa energia universale, lieserl cara, vedremo come l’amore vince tutto, trascende tutto e può tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita. Sono profondamente dispiaciuto di non averti potuto esprimere ciò che contiene il mio cuore, che per tutta la mia vita ha battuto silenziosamente per te. Forse è troppo tardi per chiedere scusa, ma siccome il tempo è relativo, ho bisogno di dirti che ti amo e che grazie a te sono arrivato all’ultima risposta.
Tuo padre albert einstein
CONCLUSIONE
Ecco che, in conclusione, riflettendo su questi, seppur pochi, ma autorevoli punti di vista dobbiamo domandarci e domandare alle coppie che vengono nei nostri studi per capire e capirsi se, qualsiasi concetto di amore egli abbiano, esso sia funzionale al rapporto che stanno vivendo.
Si può provare amore, nel senso più ampio e significativo del termine, per “le cose”? Lo si può provare per le “attività” che svolgiamo? Esiste una “relazione” affettiva con le cose oppure si chiama passione, interesse, vocazione, desiderio tutto ciò che desideriamo svolgere e fare CON gli altri e non sempre PER gli altri? O l’amore è, piuttosto, una dimensione dell’esistenza interiore e, per essere definito tale, richiede un altro essere umano (non una cosa) che sia in grado di percepire/recepire l’amore e ricambiarlo come dono di sé?
Attenzione quindi, per come ho posto le mie riflessioni sembra che la tendenza sia ad una sublimazione dell’amore rispetto alla clinica - per come personalmente lo concepisco - ma, in studio, aiutiamo ad educare gli altri alla libertà e non al nostro pensiero: una libertà che passa attraverso la consapevolezza che non tutto si può chiamare amore se non quell’energia universale che si rivolge al cuore di un altro essere umano. Ciò per non mettere tutto sullo stesso piano di importanza rimanendo inconsapevoli schiavi del consumismo.
Se le nostre passioni materiali minano il nostro amore verso l’altro, forse abbiamo sbagliato priorità. Se il nostro Amore verso l’altro, invece, ci impedisce di soffrire anche per una deprivazione materiale o una rinuncia, vuol dire che è un amore, non già solo compensativo o dispensativo, ma PRIORITARIO, efficace, risolutivo.
Aiutiamo, quindi, specie in questo periodo, tutte le coppie che non riescono più a vivere l’amore reciproco, la relazione con-divisa (perché concentrati sulle cose materiali che oggi ancora di più sentiamo lontane) e restituiamo loro quella capacità di discernimento tra il materiale e l’immateriale aiutandoli a stabilire ciascuno le proprie priorità e a non essere schiavi dei bisogni primordiali (sempre che nessuno rinunci alla sue passioni o ai suoi interessi naturali) ma che diventino artefici, nella pedagogia delle relazione di coppia, di un amore più alto che può chiamarsi tale solo laddove Esso attecchisce: nell’altro e non nel “cosa”.
Lanciano, 16 Marzo 2020
Grazie per aver letto fin qui e buon lavoro a tutti i pedagogisti Aniped ed agli altri professionisti per i servizi alla persona
Il Presidente Nazionale A.N.I.PED.
Dott. Gian Luca Bellisario