Sono educatori, siamo educatori titolati, formati, ma nello stesso tempo il nostro ruolo non è riconosciuto. Talvolta, quando si parla di domiciliarità, vedi attorno a te occhi stupiti che ti chiedono:
«Cosi piccoli e già ai domiciliari»? Ma tu sei pronta a rispondere che è uno strumento a favore delle famiglie fragili, per aiutarle a mantenere vivo il loro diritto a essere famiglia e a rispettare il diritto del minore ad avere una famiglia così come già sottolineato dalle varie Convenzioni sui diritti dell’uomo e del fanciullo.
Siamo “forze deboli”, come alcuni ci definiscono, che quotidianamente entrano in relazione con le famiglie e i minori che siamo chiamati ad affiancare e ad accompagnare per periodi più o meno lunghi. Siamo noi educatori che condividiamo tempo con questi nuclei familiari fragili, un tempo fatto di sguardi, di un detto-non detto che caratterizza le relazioni nell’ambito di una educativa domiciliare, ma che ad uno sguardo attento, quello che un professionista dovrebbe avere, rivela molto di più di quanto le parole possono dire. L’educativa è caratterizzata, per l’appunto, da detto-non detto e richiede al professionista la capacità di saper modulare la propria azione educativa sulla base di quello che accade nel quotidiano. Una modulazione e una capacità di adattamento che presuppone la presenza di un’ulteriore capacità, ossia la flessibilità nell’azione educativa che dovrebbe aiutare i professionisti a comprendere che il progetto educativo rappresenta un canovaccio, una traccia di quello che dovrò realizzare e proporre con la famiglia, ma che andrà e potrà essere modificato proprio sulla base di ciò che osservo nella quotidianità dell’azione educativa. Chi meglio dell’educatore, che vive sul campo l’educativa, può offrirci una visione realistica della situazione? All’educatore, tuttavia, dovrebbero però essere forniti strumenti di azione, ma anche e soprattutto occasioni di riflessione sulla sua opera educativa e la possibilità di condividere con altri professionisti la propria esperienza. Un aiuto fondamentale, da questo punto di vista, può essere offerto dai pedagogisti che accanto a strumenti pratici, possono offrire all’educatore quella dimensione di condivisione e confronto di cui gli operatori hanno bisogno. Il pedagogista, infatti, può offrire l’opportunità di rivedere con sguardo critico e obiettivo la realtà dell’educativa domiciliare, perché non coinvolto direttamente con la fragilità della famiglia, e promuovere nell’educatore quella dimensione di riflessione e autoriflessione che è per lui fondamentale. Appare importante, quindi, crearsi quella dimensione di “rêverie” che ci permette di estraniarci dalla realtà, alla quale rimaniamo ancorati, per recuperare energie e osservare il contesto familiare secondo un’altra prospettiva.
Tra educatori e pedagogisti dovrebbe crearsi, quindi, un buon clima di collaborazione e confronto che dovrebbe poi estendersi anche nell’ ambito di una rete in cui sono coinvolti tutti i servizi. Solo in questo modo, credo, questo importante strumento a servizio delle famiglie con fragilità e del minore potrà essere veramente utile perché, pur nella diversità del professionista che si prende cura del nucleo familiare, tutti non perdono di vista il destinatario principale del nostro intervento, ossia la famiglia.
Dott.ssa Sabrina Dore
Pedagogista, Laurea in Scienze dell’educazione V.O. con indirizzo Educatore Professionale Extrascolastico, Pedagogista Clinico, Pedagogista Giuridico, Educatore scolastico e domiciliare