Troppe volte mi chiedono di rispondere a domande senza ascoltare il mio universo. Io sono parte dell'universo, ognuno di noi è un universo, un luogo senza fine, pieno di meraviglia, disordine e ordine, un insieme di materia ed energia che danza in una sinfonia di leggi fisiche che ancora non si comprendono del tutto. Mi osservate, cercate di capirmi, dare un senso, ma nel mio vasto e misterioso abbraccio con l’universo, sono più grande delle vostre domande e delle vostre risposte. Nel cuore dell’universo troviamo quello che viene definito “il vuoto cosmico”, uno spazio che per molti è sinonimo di niente, di assenza. Il vuoto cosmico non è affatto "vuoto" come mi avete insegnato o come siete abituati a concepirlo. Si tratta di uno spazio infinito dove se la materia è estremamente rarefatta, è tuttavia popolato da infiniti campi di energia. Se la sua presenza appare come assenza, questo è tutto tranne che insignificante. In un certo senso, il vuoto cosmico è anche quel luogo di potenziale infinito, di possibilità sconosciute e di interconnessioni invisibili. La sua natura difficile da definire sfida la nostra comprensione e, allo stesso tempo, ci offre una nuova visione del mondo in cui l'assenza può essere letta come una forma di presenza dinamica. Ma il vuoto non è affatto vuoto. Anzi. È quello spazio che mi consente di creare e realizzare, mi conduce dal niente alla possibilità di dare vita a nuove esperienze. L’universo a cui appartengo non è un "niente" da colmare, ma è quel "qualcosa" che permette a tutto ciò che esiste di Essere. Ecco che il vuoto cosmico è il fondamento dell’equilibrio che regola il mio Essere.
Lì, dove apparentemente non c'è nulla, tutto si origina e si dissolve in un ciclo senza fine. Immaginate il potere che si nasconde nell’assenza, come un silenzio che prepara la melodia, come un respiro che dà inizio alla vita. Ma io non sono solo l’ombra di un concetto incomprensibile. Esisto perché sono. È qui che nutro il mio essere, proprio come quando la mia mamma mi allattava al seno, con il bisogno primordiale di entrare in contatto con la natura e ritrovare me stesso.
L'educazione in natura è il mio riflesso più luminoso, il mio equilibrio dinamico con ciò che non si vede, con ciò che scivola tra le pieghe delle convenzioni sociali. Aiutatemi a esplorare il mondo senza paura, a vedere il mondo come un grande spazio di possibilità, libero da etichette e restrizioni. La leggerezza cosmica dell’educazione in natura si fonda sull’idea che, come l’universo, anche io ho bisogno di spazi aperti, di vuoto, di possibilità per crescere. Non abbiate fretta o trovare il bisogno di forzare il mio cammino, di accompagnarmi in un percorso che somiglia più a una prigione che alla libertà di essere me stesso. L’educazione che immagino è fluida, come le stelle che attraversano il cielo, come le correnti che percorrono l’universo: non avete bisogno di tenere tutto sotto controllo, non dovete forzare nulla.
Accogliete l’ignoto, lasciate che la curiosità e la scoperta siano la bussola del mio cammino. Se l’universo è fatto di leggi immutabili, di forze misteriose che regolano l’ordine e il disordine (caos), tutto questo lo trovo nel mio essere bambino. Così come nell’universo lo spazio gioca con il mattino e i suoi suoni e mette a dormire il fare di tutti i giorni, nell’educazione in natura riscopro lo spazio per il gioco, per un apprendimento che non è forzato, ma che nasce da una esperienza diretta e mi insegna la vera essenza: chi sono e perché.
Quest’ultima si fonda sulla capacità di leggere e rispondere alla vita con apertura, senza la costrizione di strutture rigide e/o preconcetti. L’educazione in natura promuove un legame più autentico e fluido tra noi bambini e il mondo circostante, permettendoci di apprendere attraverso il contatto con l’ambiente, ma soprattutto di non negare la libertà di essere noi stessi e basta. L’universo a cui appartengo mi insegna che la vera forza sta nell'abbracciare la propria fragilità, nell'essere leggeri e curiosi, nel non temere il vuoto ma nel farne uno spazio di crescita.
In questa danza infinita di stelle e pianeti, di vuoti e pieni, vi invito a non temere ciò che non comprendete, a non temere il vuoto, ma ad abbracciarlo. Soprattutto vi invito a guardare l’educazione con occhi nuovi, come un viaggio senza fine nell’infinito, come un percorso che va oltre le barriere, che esplora nuove strade e si nutre della leggerezza del cuore. La leggerezza di cui parlo non è da intendersi come un qualcosa di superficiale, ma piuttosto come un invito a non appesantire l’esperienza educativa con pregiudizi, aspettative e imposizioni che rischiano di limitare la mia libertà di pensiero e di azione. Si riflette invece su una forma di educazione che incoraggia la curiosità, la creatività e la crescita naturale, senza forzature o schemi prefissati, quasi come se la natura stessa fosse un "campo cosmico" di opportunità per tutti.
La vostra sfida (educatori, genitori e istituzioni) è superare il pregiudizio che associa il "voler essere un duro" con l’efficace, comprendendo che la vera forza educativa risiede nella capacità di ascoltare ciascun universo. Se si riesce a coniugare la struttura con la leggerezza cosmica dell’educazione in natura, avremo una guida che non impone, ma ci accompagna nella nostra evoluzione, esattamente come un astrofisico che interpreta i fenomeni del cosmo senza cercare di dominarli, ma comprendendoli in tutta la loro complessità e bellezza.
In questa prospettiva, l’educazione in natura diventa un universo di crescita individuale, un “vuoto” nel quale la mia mente può espandersi e trovare forme nuove di interazione con il mondo. L’esperienza diretta con la natura, il contatto con gli elementi naturali, l’esplorazione dell’ambiente non solo rafforzano la mia creatività ma fanno sì che possiamo sviluppare una consapevolezza di noi più̀ profonda, che non è un segno di debolezza, ma una risorsa di forza interiore, di ascolto dell’altro universo e di incontro.
Ascolto e penso.
Trovo tra il vuoto cosmico e la leggerezza cosmica dell'educazione in natura, un parallelismo interessante con la canzone di Lucio Corsi. Il testo esplora la tensione tra l’immagine di sé che si vuole proiettare, ovvero quella di una persona forte e determinata, e il rifiuto della vulnerabilità inteso come abbandono della paura di essere, essenziale per l’evoluzione di un bambino, ma anche per la crescita di tutti gli universi. Il desiderio di essere "un duro" rappresenta la volontà di nascondere la propria vulnerabilità, e questo si riflette anche in alcuni approcci educativi che vedono la rigidità come elemento imprescindibile. Tuttavia, l'educazione in natura ci offre una metafora potente: il vuoto cosmico, come spazio di possibilità e potenziale, rappresenta l’opportunità di un’educazione che non affatica e/o schiaccia, ma che dà spazio alla libertà di essere, di imparare, di esplorare, di scoprire, di apprendere, di vivere e di ritrovare quel tempo che ci aspetta.
Un bambino che voleva essere un duro.
Dott. Andrea Scarcelli
Coordinatore pedagogico con esperienza ultra ventennale nella gestione di nidi e servizi per la prima infanzia