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Il SOSTEGNO PEDAGOGICO ALLA GENITORIALITA

21-02-2025 00:01

Dott.ssa Elena Brattini

PUBBLICAZIONI,

Il SOSTEGNO PEDAGOGICO ALLA GENITORIALITA

Dott.ssa Elena Brattini

Riflettere sulla genitorialità e sugli stili educativi è già di per sé un argomento complesso, ma lo diventa maggiormente se il contesto famigliare in oggetto è permeato di violenza e maltrattamenti. Parlare di violenza domestica non significa parlare di litigi, discussioni e soprattutto è importante non confondere la violenza con il conflitto: quest’ultimo appartiene all’area delle competenze relazionali, dove l’altro è tenuto in considerazione e rispettato, mentre la violenza nasce dall’incapacità di stare nelle situazioni di tensione, di negoziare tra posizioni differenti ed appartiene all’area della distruzione/eliminazione relazionale. La violenza è prima di ogni altra cosa un modo di esercitare il potere, nella fattispecie tra soggetti in posizioni asimmetriche e, quando questo avviene all'interno della famiglia, altera in modo significativo e sistematico le relazioni presenti al suo interno.
Laddove la violenza, in qualsiasi forma, gioca un ruolo preponderante nella vita familiare, la genitorialità ne risulta deficitaria e inadeguata. Gli studi e le molteplici esperienze hanno posto in evidenza come nelle situazioni in oggetto gli stili genitoriali tendano a polarizzarsi su due estremità, o eccessivamente autoritari o eccessivamente permissivi, a discapito di quella modalità che potremmo definire “genitorialità sufficiente buona”, caratterizzata da autorevolezza e riconoscimento dei bisogni e dei ruoli all’interno della relazione affettiva.
I minori sono necessariamente coinvolti nelle dinamiche violente che avvengono all’interno delle relazioni familiari lungo tutto l’arco della loro vita e come ben spiegano gli autori in Maltrattamento e Abuso all’Infanzia “per i minori, i traumi relazionali si configurano come i più pericolosi in termini di sviluppi post-traumatici, tanto più quando sono molto precoci e legati a relazioni primarie gravemente disfunzionali” (Camisasca, Miragoli e Di Blasio, 2014, La disorganizzazione dell’attaccamento spiega i sintomi post-traumatici nei bambini vittime di violenza intrafamiliare? In Maltrattamento e Abuso all’Infanzia, 2, pp. 36).
Molti studiosi hanno approfondito le molteplici conseguenze che, a vari livelli, un bambino si trova a vivere a seguito di un’esperienza di maltrattamento domestico, evidenziando come sin da neonati i minori mostrino segnali in termini di maggior aspetti richiestivi, irritabilità, che proseguono e si sviluppano nelle varie fasi evolutive, strutturandosi tendenzialmente in comportamenti caratterizzati da una maggior reattività e da livelli di ansia e allerta permanenti. Tali riflessioni ci avvicinano al delicato tema della violenza assistita, che meriterebbe certamente un approfondimento specifico, ma che ritengo comunque utile accennare.
Il CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso all' Infanzia) ha dato una definizione ampia e completa del fenomeno (CISMAI, 2005, 2017), ma a livello legislativo e penale, purtroppo, nel nostro Paese non è ancora presente la giusta e necessaria considerazione dello stesso. Riconosciuta dalla Corte di cassazione già nel 2010 come violenza diretta, con la Convenzione di Istanbul, la violenza assistita rientra tra le circostanti aggravanti del reato di maltrattamenti in famiglia, ma è solo con la legge 69/2019, conosciuta come Codice Rosso, che il minore di anni 18 che assiste ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato.
Da un punto di vista psicopedagogico, a me affine per professione, parlare di ciclo della violenza, maltrattamento, violenza assistita, significa avere uno sguardo a tutto tondo, che ingloba ogni sfumatura e permette di tenere in considerazione non solo i diversi attori in campo, ma anche gli intrecci e le dinamiche affettive-relazionali che si sviluppano all’interno di quel preciso contesto famigliare. La tematica della violenza assistita da parte dei minori rappresenta un campo ancora poco delineato, seppur presente e oggetto di costante ricerca, ma è sicuramente un “fenomeno ancora

troppo poco conosciuto perché non c’è una percezione dei danni gravissimi che provoca…. Vedere determinati agiti in famiglia porterà ad assimilarli come comportamenti normali e non disfunzionali e a ripeterli a sua volta”. (Carla Garlatti, Autorità Garante per L’Infanzia e l’Adolescenza, articolo Il sole 24 ore).
Ecco credo che questo sia un punto centrale: occuparsi di esercizio alla genitorialità con gli autori di violenza domestica, significa non solo lavorare sul piano di responsabilità e di presa di consapevolezza dei propri agiti, ma anche attivarsi in una direzione che miri a interrompere il ciclo di violenza che, se non trattato, continua e ripetersi, rinforzando relazioni tossiche, cariche di sentimenti come rabbia, rancore e sofferenza. Nella maggior parte dei casi, ma il dato non va generalizzato, il modello educativo incarnato dai padri che agiscono violenza è di tipo eccessivamente autoritario, anche se, in minoranza, sono presenti padri con stile educativo permissivo-trascurante. I padri maltrattanti del primo tipo si attendono obbedienza immediata e indiscussa, faticano ad accettare le critiche dei figli e di altri familiari, non riescono a modulare il loro livello di severità adeguandolo all’età del figlio e ricorrono facilmente a ricatti e punizioni. Sono persone che tendono ad esercitare il controllo, a volte in maniera ossessiva. Tale comportamento paterno può divenire un modello disfunzionale e, come detto in precedenza, contribuire al perpetrarsi della violenza nelle generazioni successive.
L’esperienza diretta presso l’Associazione “Il Cerchio degli Uomini Brescia”, nata nel 2013 e proposta all’aiuto di uomini che hanno agito o temono di agire violenza, nelle sue varie forme, all’interno delle loro relazioni, mi ha permesso di incontrare tante storie e toccare con mano aspetti legati alla genitorialità, aiutandomi a riflettere come pedagogista sui modelli educativi appresi, fuori da una logica di giudizio e di colpa. La storia del comportamento di un uomo autore di violenza domestica, di come questo atteggiamento si ripercuote sull’esercizio della genitorialità e sullo sviluppo del minore, non esime il genitore dalla responsabilità di recuperare, o almeno provare a recuperare, la propria funzione genitoriale.
E’ vero che gran parte degli uomini che intraprendono il percorso trattamentale, a seguito di una violenza agita, non sono spesso spinti da una reale motivazione interna, in quanto vengono inviati dal Tribunale a fronte di una sentenza che permette loro di beneficiare della sospensione condizionale della pena, ma è altresì vero che la sensibilità verso il benessere dei figli rappresenta un possibile motore al cambiamento. Affinché questi padri possano riconoscere le conseguenze sui figli di un clima familiare caratterizzato da prevaricazioni e violenza, dove è assente quella sicurezza di base necessaria alla crescita sana di un bambino, devono compiere un lungo percorso di consapevolezza e di revisione dei propri sistemi valoriali. L’intento è quello di coinvolgere il genitore in un percorso di riflessione circa il proprio stile genitoriale, renderlo maggiormente consapevole dell’impatto della violenza domestica sui figli e lavorare sulla riparazione. E’ probabile che inizialmente il genitore minimizzi la frequenza e la gravità delle violenze, ma è necessario lavorare su questo terreno. Come pedagogisti, in un lavoro di rete con gli altri professionisti coinvolti, abbiamo il delicato compito di aprire spazi di riflessioni con i padri autori di violenza, circa la loro storia di figli, gli stili educativi appresi, affinché riprendano contatto con i loro vissuti, le loro emozioni e possano iniziare a sviluppare empatia verso i loro figli. L’intervento pedagogico è cospicuo e diretto sia a contestualizzare e spiegare il compito dei diversi servizi coinvolti (Servizio Tutela Minori, Tribunale per i Minorenni) affinché il padre possa comprendere meglio quanto sta accadendo, sia a fornire informazioni precise rispetto alla fase di sviluppo in cui il figlio si trova, per comprendere quali possono essere i bisogni di crescita e i possibili strumenti educativi da adottare.

Focalizzare l'attenzione sui figli, sulla centralità di quest’ultimi, promuovere riflessioni sulle emozioni, sulla rabbia, su come questa emozione possa essere appresa e poi agita, è di fondamentale importanza nel lavoro pedagogico; essere privi di una competenza emotiva impedisce agli autori di violenza l'accesso alle emozioni e di conseguenza ne risulta compromessa anche quella capacità empatica indispensabile, per entrare in contatto con la sofferenza dei loro figli.
Frasi come “mi spiace per mio figlio/a, i bambini ci vanno sempre di mezzo”, oppure “non pensavo di arrivare a tanto”, o ancora “non so con che occhi mi guarderà mio figlio/a”, sono frangenti in cui è possibile agganciare l’uomo, aiutandolo ad avvicinarsi al suo ruolo genitoriale, al suo essere padre, muovendosi con attenzione sul piano emotivo e affettivo, senza rientrare in rigidi schemi di pensiero o posizioni vittimistiche di difesa e chiusura.
Attivare un intervento pedagogico di sostegno alla genitorialità con uomini che hanno agito violenza domestica significa spezzare il ciclo della violenza, aiutare l’uomo a ri-collocarsi nella sua posizione genitoriale e soprattutto a non normalizzare la violenza e le emozioni ad essa collegate, come la prepotenza, il controllo e la pretesa. Tutto questo aiuta l’autore di violenza a riavvicinarsi al suo ruolo di padre, aiuta il figlio o la figlia a non riproporre/ricercare relazioni “tossiche “, ma credo sia un approccio relazionale prezioso anche per chi, fortunatamente, non si è trovato a vivere queste esperienze dolorose di violenza.
In tal senso mi sento di concludere sottolineando come l’intervento pedagogico nei contesti di violenza domestica, oltre a configurarsi quale strumento riabilitativo e rieducativo, sia un importante intervento preventivo contro la violenza di genere e la violenza in ogni forma.


Dott.ssa Elena Brattini 

Pedagogista, specializzata in Pedagogia Clinica e Pedagogia Giuridica
 

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