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LA PRESENZA DELL’ADULTO PER L’ADOLESCENTE

06-02-2025 11:52

Dott.ssa Cinzia Artioli

PUBBLICAZIONI,

LA PRESENZA DELL’ADULTO PER L’ADOLESCENTE

di Cinzia Artioli

L’adolescenza è un periodo della vita caratterizzato da forti cambiamenti fisiologici e psicologici che incidono notevolmente sul comportamento. Un comportamento che appare spesso poco equilibrato, a volte trasgressivo o comunque eccessivamente enfatizzato. Negli ultimi decenni il periodo dell’adolescenza si è fortemente dilatato, invece dei 10-19 anni che ne rappresentavano i limiti, ora può essere collocata tra i 19 e i 24 anni . La famiglia resta il punto di riferimento ma il contesto sociale in cui essa è inserita è profondamente cambiato, a partire dai cambiamenti legati alla struttura stessa della famiglia fino all’arrivo delle tecnologie e dei social network. Spesso questi strumenti alimentano il bisogno persistente di piacere agli altri e di essere approvati, attraverso i “like” e il numero di “follower” e in qualche modo cambiano l’esperienza di sé. Ci si confronta con una moltitudine di coetanei, conosciuti o no che raccontano storie reali o di facciata attraverso instagram e tik tok. Queste esperienze influiscono sullo sviluppo della personalità dei ragazzi. In passato gli adolescenti riflettevano nella loro mente lo scenario familiare in cui erano inseriti e il passaggio all’età adulta passava necessariamente dal conflitto tra generazioni. Le famiglie però avevano una struttura normativa che imponeva obblighi e compromessi. Oggi, invece, si tende a voler essere confidenti, compagni di avventura, in casi estremi si vorrebbe aver un rapporto amicale con il proprio figlio. Quelli che oggi sono genitori di bambini e ragazzi spesso non hanno effettuato, a loro volta, un reale passaggio da figli ad adulti . Ne consegue che spesso il conflitto generazionale viene a mancare e il rischio è quello di perdere quell’autorevolezza adulta necessaria per fornire punti di riferimento stabili all’interno di un contesto più allargato. I nostri ragazzi si ritrovano al largo, in balia delle onde, senza un appiglio a cui appoggiarsi, senza una base sicura per prendere fiato. La pubertà che dà il via a cambiamenti somatici e sessuali, accompagnata da contestuali ricadute psicologiche e sociali, dovrebbe rappresentare una tappa inevitabile del ciclo di vita. Se però inseriamo questa tappa all’interno di, quella che Bauman definisce, una società liquida  è evidente quanto il livello di instabilità aumenti.  Le relazioni all’interno della società e, a cascata, la persona stessa ha difficoltà a trovare dei riferimenti perché le situazioni in cui si agisce si modificano prima che si riescano a consolidare abitudini e procedure. Tuttavia non si deve pensare di essere in trappola, senza alcuna via di uscita. Mi piace la metafora degli adulti come una boa che possano segnare una linea di confine, da una parte, e dall’altra possono essere un punto di riferimento per non perdersi nel mare degli eventi. Ho recentemente partecipato ad un interessante monologo dello psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini che ha messo in evidenza alcuni postulati, a mio parere, molto rilevanti. Spesso si additano le tecnologie digitali e i social network, citati precedentemente, come causa di tutti i mali delle nuove generazioni ma non si sottolinea abbastanza la modalità con cui gli adulti le utilizzano e quale modello siano in grado di fornire. Spesso gli adulti, più che giustamente, vietano l’uso prolungato degli stessi ma, nello stesso tempo, sono i primi ad abusarne e a mostrarsi perennemente dipendenti dal proprio cellulare. Il problema non riguarda solo gli adulti ma anche le istituzioni che pongono divieti, in alcuni casi, anacronistici, come vietare l’uso all’interno delle scuole. Secondo Lancini questi divieti si dovrebbero trasformare in indicazioni costruttive. Un esempio è quello di integrare la ricerca con la libera fruizione di internet in occasione di uno svolgimento di un tema in classe, ad esempio. Sicuramente è facile criticare le diverse posizioni in merito all’educazione dei ragazzi ma è più difficile capire realmente come agire. Forse si dovrebbe partire dalle relazioni. Si parla molto di ascolto attivo ma un vero ascolto permette che le nostre posizioni si possano trasformare dall’incontro con l’altro, senza esserne completamente travolti. Un altro aspetto che ritengo interessante, che spesso ritrovo nei genitori, è quello di voler sapere sempre tutto sui propri figli e di risolvere ogni loro “problema”. Alcuni fatti di cronaca poi ci dimostrano che non tutto ciò che, come genitori, pensiamo di sapere rappresenta veramente tutto il mondo dei nostri ragazzi. Allora forse è meglio monitorare il livello di benessere generale, lasciando uno spazio privato da tenere per sé. Coltivare la fiducia, quella vera. Non intendo la fiducia che permette di fornire un alibi per evitare di assumere responsabilità, per esempio di fronte al rapporto che gli adolescenti hanno con i professori e con la scuola in generale.  Intendo la fiducia in cui viene concessa la possibilità di sbagliare, di imparare dai propri errori senza fare necessariamente al primo colpo la “cosa giusta” o la più performante e ancora la capacità di saper chiedere scusa e assumersi le colpe, senza sconti ma in un’ottica di empowerment. Come dice Lancini dovremmo smetterla di farli essere sé stessi “a modo nostro” ma liberarli per far loro scoprire la propria strada da soli.


Dr.ssa Cinzia Artioli
Pedagogista specializzata in Pedagogia Clinica
 

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